• Misure cautelari: la mancata trasmissione degli atti d’indagine al Tribunale del Riesame comporta l’inefficacia della misura (Cass. Pen. Sez. I – 38775/02)

    19 Nov 2002 | Sentenze

    In tema di misure cautelari, ai fini della corretta rivalutazione dei presupposti di emissione della misura in sede di Riesame il P.M. è onerato, ex art. 309 co. 5 c.p.p., della trasmissione di tutti gli elementi probatori posti a supporto del provvedimento cautelare. La mancata o incompleta trasmissione di tali atti rende la misura inefficace per i capi in relazione ai quali si è dato atto dell’utilizzo del materiale non depositato.

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    Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 14 ottobre 2002 – 19 novembre 2002, n. 38775

    Presidente Fazzioli – Relatore Riggio

     

    RITENUTO IN FATTO

    Con ordinanza dell’1 marzo 2002 il Tribunale di Firenze, in funzione di giudice del riesame, confermava, tra l’altro e per quanto qui interessa, le ordinanze emesse dal G.I.P. del Tribunale di Pisa l’1 febbraio 2002, applicative della custodia cautelare in carcere nei confronti di M.R. e S.E.

    Osservava il Collegio che dalle indagini erano emersi gravi indizi della sussistenza di una associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati contro il patrimonio e la fede pubblica, facente capo, oltre che al M., a G.G., C.E. e B.A., con i quali avevano cooperato diversi altri soggetti, principalmente con il ruolo fittizio di amministratori delle imprese delle quali veniva acquisito il controllo.

    Tale struttura organizzata aveva operato assumendo, tramite prestanomi, società in stato di decozione, acquisendo, poi, con stratagemmi fraudolenti, cospicui finanziamenti anche da banche e grandi quantitativi di merci, che venivano sottratti prima del definitivo fallimento.

    Il Tribunale indicava i molteplici elementi integranti il quadro indiziario, come dichiarazioni di coindagati e di persone informate sui fatti, querele di persone offese, intercettazioni telefoniche, documenti (atti bancari, contratti di utenze cellulari, annotazioni) concernenti la posizione dell’indagato M. riguardo al reato associativo e ai reati-fine di bancarotta patrimoniale e documentale, con riferimento specifico alle vicende delle società “Flaminia International”, “Jolly Promotional”, “Le Petit”, “Nuovo Gulliver”, “Elletex” ed altre.

    Veniva disattesa l’eccezione procedurale attinente alla mancata trasmissione al Tribunale delle dichiarazioni di C.M. (che aveva gestito la società “Nuovo Gulliver”), sul rilievo che il ruolo effettivo del M. nella vicenda risultava dalle dichiarazioni di altri coindagati, come B.E. e dalle ammissioni dello stesso M., nonché dalla circostanza che quest’ultimo era stato trovato in possesso di un’autovettura, distratta al fallimento della società.

    La gravità dei fatti e la spiccata pericolosità specifica del M., reinseritosi nel sodalizio illegale non appena riacquistata la libertà dopo avere subito periodi di detenzione cautelare per fatti analoghi, rendevano emergente il pericolo di reiterazione criminosa e inadeguata la adozione di una misura meno afflittiva.

    Lo S., secondo il Tribunale, era raggiunto da gravi indizi relativamente al delitto associativo (anche se con un ruolo diverso da quello di amministratore di fatto e procacciatore di affari attribuitogli nella contestazione) e ai fatti di bancarotta attinenti alle società “Flaminia” e “Jolly Promotional”.

    Venivano respinte le eccezioni in rito concernenti la mancata trasmissione di atti al Tribunale: quanto al verbale dell’interrogatorio reso dall’indiziato poiché esso era stato trasmesso in precedenza, unitamente agli atti afferenti ad altre posizioni processuali e, quanto ad un “CD” e quattro “floppy disk” con traffico “TIM”, trattandosi di elementi del tutto accessori e non necessari ai fini della decisione, dal momento che erano sufficienti i dati contenuti nei tabulati acquisiti.

    Ciò premesso, osservava il Collegio che rilevavano a carico dell’indagato le circostanze che egli si era interessato per ottenere dilazioni di pagamento e per reperire un’impresa di pulizie per i locali delle due società (che avevano la stessa sede) e, inoltre, risultava intestatario di numerose utenze cellulari in uso alle medesime società.

    Lo S. era legato da uno stretto rapporto di collaborazione con il C.: i due, come risultava da un altro procedimento, pendente dinanzi all’autorità giudiziaria di Prato, in quel territorio erano stati vittime di un episodio di estorsione, dopo avere commesso insieme una serie di truffe.

    La misura custodiale nei suoi confronti andava confermata anche con riguardo alle esigenze cautelari, atteso che l’indiziato aveva dato prova di una spiccata attitudine alla reiterazione di delitti della stessa specie.

    Ricorrono per cassazione i difensori degli indagati.

    Per M. si deduce:

    1) violazione dell’art. 309 c.p.p., in relazione alla mancata trasmissione al Tribunale delle dichiarazioni rese da C. e C., che determina la inefficacia della misura, quanto meno limitatamente alla imputazione di concorso nei reati fallimentari di cui al capo I, indipendentemente da ogni valutazione circa la asserita irrilevanza degli atti mancanti in sede di riesame.

    2) Violazione degli artt. 63 e 64 c.p.p., in relazione alle dichiarazioni rese dai coindagati B., T. e T., la cui inutilizzabilità comportava la mancata dimostrazione del fatto che costoro si erano adeguati alle istruzioni date dal M. nella vicenda della società “Flaminia International”.

    3) Violazione dell’art. 273 c.p.p. quanto alla valutazione del quadro indiziario, poiché i contatti e le frequentazioni tra i coindagati non dimostravano l’esistenza di una stabile organizzazione dedita ad attività illecite.

    4) Violazione dell’art. 275 c.p.p. e vizio di motivazione in relazione alla valutazione della necessità della custodia carceraria.

    In difesa di S. si denuncia:

    1) illogicità della motivazione quanto all’intestazione e all’uso di utenze cellulari da parte dell’indagato, il quale ha ammesso soltanto i contatti telefonici con altri indiziati, dovuti ai rapporti di amicizia e non la titolarità di cellulari.

    2) Violazione dell’art. 416 c.p. in quanto gli elementi indicati dal Tribunale non provano la partecipazione attiva e consapevole dello S. ad un’associazione criminosa.

    3) Violazione degli artt. 223, 216 e 219 L.F. (R.D. 16 marzo 1942, n. 267), non essendo state individuate condotte dell’indiziato causalmente idonee a determinare gli eventi distrattivi.

    4) Violazione dell’art. 292 c.p.p., poiché la negativa valutazione della personalità dello S. era stata incongruamente desunta da un diverso procedimento, che lo vedeva parte offesa di una estorsione.

    5) Inosservanza di norme processuali in relazione alla mancata trasmissione dell’interrogatorio di garanzia dell’indiziato (verosimilmente pervenuto al Tribunale dopo la conclusione dell’udienza camerale), nonché del “CD Rom” e di quattro “floppy disk”, compresi tra gli atti la cui trasmissione è assolutamente obbligatoria.

    CONSIDERATO IN DIRITTO

    Va esaminata preliminarmente, per il suo carattere potenzialmente assorbente, la questione attinente agli effetti della mancata trasmissione di atti al Tribunale del riesame.

    Il testo originario del codice di rito del 1988 prevedeva l’obbligo per il pubblico ministero di presentare al giudice competente gli elementi sui quali la richiesta di misura cautelare si fondava (art. 291, comma 1, c.p.p.); la sola ordinanza cautelare, dopo che era stata notificata o eseguita, doveva essere depositata nella cancelleria del giudice che la aveva emessa (art. 293, comma 3, c.p.p.) e, a seguito della presentazione della richiesta di riesame, andavano trasmessi al tribunale “gli atti presentati a norma dell’art. 291, comma 1, c.p.p.” (art. 309, comma 5, c.p.p.) in un termine che non era perentorio, dal momento che la perdita di efficacia dell’ordinanza dispositiva della misura coercitiva conseguiva unicamente alla inosservanza del termine di dieci giorni, entro i quali doveva intervenire la decisione del tribunale.

    In tale quadro normativo la richiesta di riesame svolgeva la precipua funzione di consentire il primo accesso difensivo agli elementi indicati a sostegno dell’accusa, la cui conoscibilità, stante il carattere di atto a sorpresa della misura, già eseguita, era limitata dall’obbligo del deposito in cancelleria della sola ordinanza cautelare.

    Il sistema, oltre a ridurre i confini sostanziali dell’esercizio del diritto di difesa, comportava una evidente disparità del trattamento della persona sottoposta alle indagini preliminari rispetto all’imputato nei cui confronti la richiesta di applicazione della misura coercitiva fosse stata proposta dopo il rinvio a giudizio e la completa “discovery”.

    Il procedimento è stato profondamente innovato dalla legge 8 agosto 1995, n. 332, che prevede la presentazione da parte del Pubblico Ministero al giudice anche di tutti gli elementi a favore dell’imputato e delle eventuali deduzioni e memorie difensive già depositate (art. 8), mentre nella cancelleria del giudice, dopo l’esecuzione della misura, vanno depositati, oltre all’ordinanza che la ha disposta, anche, la richiesta del pubblico ministero e gli atti presentati con la stessa (art. 10). È stabilito, infine, il termine perentorio di cinque giorni a decorrere dall’avviso – dato dal presidente all’autorità giudiziaria procedente della presentazione della richiesta di riesame – per la trasmissione al tribunale degli atti presentati dal pubblico ministero ai sensi dell’art. 291 c.p.p. (art. 16 della legge n. 332 del 1995).

    La riforma ha accentuato i profili di generale garanzia del procedimento cautelare, quale strumento di controllo dei provvedimenti che incidono sulla libertà personale, attuato, nella dialettica delle parti, con la verifica degli indizi, delle esigenze cautelari e della adeguatezza della misura, consentita dalla conoscenza da parte della difesa degli elementi indicati a fondamento dell’accusa.

    Dall’evoluzione del sistema secondo una logica di tipo sostanziale, essendo il procedimento volto non più ad assicurare l’accesso difensivo agli elementi a sostegno dell’accusa, bensì a garantire il controllo sul fondamento dell’ordinanza coercitiva, le Sezioni Unite di questa Corte (sent. n. 7 del 22 maggio 2002, ric. P.M. c/ Ashraf) hanno desunto la distinzione tra atti di natura processuale – quale è la richiesta della misura cautelare personale, avente una funzione che si esaurisce nell’impulso al procedimento cautelare – la cui omessa o tardiva trasmissione al tribunale non determina la perdita di efficacia dell’ordinanza dispositiva della misura stessa e atti a contenuto sostanziale con valore probatorio, direttamente rilevanti ai fini della valutazione del merito della questione cautelare.

    Per questi ultimi, la sanzione prevista dall’art. 309, comma 10, c.p.p. opera nel caso in cui essi siano stati effettivamente utilizzati dai giudice a fondamento del provvedimento coercitivo.

    Ciò premesso, rileva la Corte che l’effetto caducatorio non può farsi discendere da una ulteriore differenziazione, correlata al contenuto favorevole o meno all’imputato dell’atto, ovvero dal ricorso al criterio di “resistenza”.

    Da una parte, infatti, non si vede come il tribunale possa apprezzare il contenuto (favorevole, neutro o sfavorevole per la posizione dell’accusato) del quale non ha preso diretta cognizione e, d’altra parte, la possibilità di una valorizzazione dissociata, in sede di riesame, degli elementi superstiti, prescindendo cioè da quelli portati da documenti non trasmessi, conferirebbe un aggiuntivo potere di selezione all’autorità giudiziaria procedente, in contrasto con il disposto dell’art. 309, comma 5, c.p.p. nel testo vigente.

    Alla luce dei principi suesposti, non ha pregio l’argomentazione svolta nella specie, riguardo alla posizione dello S., dal Tribunale, secondo cui i supporti informatici (“CD Rom” e quattro “floppy disk”) non trasmessi non avrebbero alcuna reale valenza probatoria, essendo sufficienti per la decisione i dati contenuti nei tabulati acquisiti.

    Posto che il G.I.P. nell’ordinanza cautelare ha fatto specifico riferimento all’anzidetto materiale informatico (£. 13) la rilevata omissione, afferendo ad elementi (intestazione surrettizia e finalizzata a illecite operazioni di plurime utenze cautelari) posti a fondamento dell’accusa nella sua intera estensione, comporta la perdita di efficacia dell’ordinanza in relazione a tutte le imputazioni per le quali è stata confermata dal Tribunale l’applicazione della misura stessa (associazione per delinquere, episodi di bancarotta e truffa, rispettivamente connessi ai fallimenti delle società “Flaminia International” e Jolly Promotional”: capi a, b, c, h).

    La stessa conclusione, sia pure con effetti limitati al reato di bancarotta di cui al capo i, si impone per il ricorrente M. in relazione alla mancata trasmissione dei verbali delle dichiarazioni rese dalla C. e dal C., specificamente menzionate nel provvedimento cautelare del G.I.P. oggetto del riesame, non essendo giuridicamente corretto, per le ragioni prima rassegnate, l’assunto del Giudice del riesame, secondo il quale il diretto interessamento dell’indagato nella gestione della società “Nuovo Gulliver”, era dimostrato “aliunde” (parziali ammissioni dello stesso M., suo possesso di un’autovettura distratta dalla massa fallimentare, dichiarazioni di B.).

    Riguardo a tutte le altre imputazioni, l’ordinanza di riesame non merita censure, in quanto sorretta da una puntuale motivazione, articolata sulla analisi di molteplici elementi indiziari, che presentano il connotato della gravità ed, inoltre, sulla coerente ricognizione delle esigenze cautelari e della esclusiva efficienza preventiva della misura carceraria.

    Né è fondata la questione di inutilizzabilità dedotta dalla difesa, con riferimento al reato di bancarotta connesso al fallimento della società “Flaminia International”, per essere stati assunti gli interrogatori dei coindagati B., T. e T. in violazione degli artt. 63 e 64 c.p.p.

    La inutilizzabilità di tali atti, invero, ammesso che ne ricorrano gli estremi, non preclude il ricorso alla “prova di resistenza”, che il Tribunale ha effettuato, dandone conto correttamente in motivazione, con l’indicazione degli altri elementi che costituivano gravi indizi a carico del M.

    La declaratoria di inefficacia del provvedimento che ha disposto la misura cautelare, nei limiti sopra precisati, comporta l’annullamento, negli stessi limiti, dell’ordinanza di riesame gravata di ricorso, con le conseguenze di legge sullo “status libertatis” dei ricorrenti.

    PQM

    Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata relativamente alla posizione di S.E., nonché, limitatamente al capo i, nei confronti di M.R.

    Dichiara l’inefficacia dell’ordinanza del G.I.P. di Pisa del 1° febbraio 2002 nei confronti dello S. e, limitatamente al capo i (bancarotta “Nuovo Gulliver”), nei confronti del M.

    Dispone la scarcerazione dello S. e, per il reato di cui al capo i, anche del M., se non detenuti per altra causa.

    Rigetta nel resto il ricorso del M.

    Dispone che a cura della Cancelleria venga date comunicazione del presente provvedimento al Procuratore Generale presso questa Corte per i provvedimenti occorrenti, nonché al Direttore dell’Istituto penitenziario per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma. 1-ter.

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