• Legittimo impedimento del Difensore: nel caso di febbre è necessaria l’indicazione del grado (Cass. Pen. Sez. III – 49668/18)

    30 Ott 2018 | Sentenze

    In tema di legittimo impedimento del difensore, ai fini del rinvio dell’udienza per stato patologico è necessaria una puntuale indicazione dello stato di malattia che impedisce al legale di patrocinare l’udienza.

    Nello specifico, qualora l’impedimento sia dovuto ad uno stato febbrile, secondo la Suprema Corte è necessaria l’indicazione della temperatura dello stesso al fine di consentire al giudice di valutare la serietà dell’impedimento.

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    Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 17 aprile 2018 – 30 ottobre 2018, n. 49668

    Presidente Savani – Relatore Aceto

     

    RITENUTO IN FATTO

    1. I sigg.ri V. C. e C. S. ricorrono per l’annullamento della sentenza del 28/04/2017 della Corte di appello di Potenza che, rigettando la loro impugnazione, ha confermato la condanna alla pena di sei anni e otto mesi di reclusione e 30.000 euro di multa, il C., e di due anni e otto mesi di reclusione e 12.000 euro di multa, la S., irrogata con sentenza del 19/04/2016 del Tribunale di Lagonegro per il reato di cui agli artt. 110 cod. pen., 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990, per aver, in concorso fra loro, illecitamente detenuto, a fine di cessione a terzi, 44,28 grammi di sostanza stupefacente del tipo eroina dai quali erano ricavabili 314 singole dosi medie giornaliere. Il fatto è contestato come accertato in Sapri il 14/10/2015, giorno del loro arresto in flagranza, con la recidiva di cui all’art. 99, comma quarto, cod. pen., contestata al C.

    1.1. Con il primo motivo eccepiscono, ai sensi dell’art. 606, lett. b) e c), cod. proc. pen., l’inosservanza o comunque l’erronea applicazione degli artt. 484 e 420-ter, cod. proc. pen., e la violazione del diritto di difesa quale conseguenza del mancato riconoscimento del legittimo impedimento a comparire dovuto a malattia del difensore ritualmente certificata dal medico curante.

    1.2. Con il secondo, deducendo la mancata qualificazione del fatto in termini di lieve entità, eccepiscono, ai sensi dell’art. 606, lett. b) e c), cod. proc. pen., l’inosservanza o comunque l’erronea applicazione degli artt. 192 cod. proc. pen. e 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 e il vizio di mancanza di motivazione sul punto.

    1.3. Con il terzo motivo, il solo C. deduce la mancata esclusione della recidiva e la mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche ed eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b) e c), cod. proc. pen., l’inosservanza o comunque l’erronea applicazione dell’art. 99, comma quarto, cod. pen., e il vizio di motivazione apparente in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche.

    CONSIDERATO IN DIRITTO

    2. I ricorsi sono inammissibili.

    3. Il primo motivo è manifestamente infondato.

    3.1. Con istanza del 27/04/2017, depositata all’udienza del 28/04/2017, il difensore degli odierni ricorrenti aveva chiesto il rinvio dell’udienza perché legittimamente impedito a comparirvi a causa di malattia certificata dal medico curante. Il certificato così recita: «Certifico che (…) è affetta da influenza. Si consigliano 4 gg. di riposo». La Corte di appello aveva respinto la richiesta, ribadita in udienza dal difensore d’ufficio, rilevando la mancanza del carattere assoluto dell’impedimento.

    3.2. In tema di legittimo impedimento a comparire, dell’imputato o del suo difensore, per malattia certificata da documentazione medica, questa Suprema Corte ha costantemente affermato il principio che il giudice, nel valutare il certificato medico, deve attenersi alla natura dell’infermità e valutarne il carattere impeditivo, potendo pervenire ad un giudizio negativo circa l’assoluta impossibilità a comparire solo disattendendo, con adeguata valutazione del referto e senza dover necessariamente disporre una “visita fiscale” o un accertamento tecnico, la rilevanza della patologia da cui si afferma colpito l’imputato o del difensore (Sez. U, n. 36635 del 27/09/2005, Gagliardi, Rv. 231810; Sez. 2, n. 12948 del 05/03/2004, Valentini, Rv. 228637; Sez. 5, n. 5193 del 15/03/1999, Damasco, Rv. 213174; Sez. 6, n. 1177 del 22/11/1995, Misit, Rv. 204557; Sez. 6, n. 10633 del 21/09/1992, Chiodo, Rv. 192154; Sez. 4, n. 12623 del 04/07/1988, Iuzzolino, Rv. 179999).

    3.3. L’indicazione del grado della febbre è essenziale per valutare la fondatezza, serietà e gravità dell’impedimento (Sez. 6, n. 20811 del 12/05/2010, Rv. 247348; Sez. 6, n. 24398 del 26/02/2008, De Macceis, Rv. 240352) sicché è inidonea la certificazione medica che si limiti ad attestare un generico stato febbrile (cfr., sul punto, Sez. 5, n. 3558 del 19/11/2014, Margherita, Rv. 262846, secondo cui è legittimo il provvedimento con cui il giudice di merito rigetti l’istanza di rinvio dell’udienza, per impedimento del difensore a comparire, documentata da un certificato medico che si limiti ad attestare un’infermità con stato febbrile – nella specie si trattava di virosi respiratoria – e ad indicare una prognosi di quattro giorni senza precisare il grado di intensità di tale stato e la sua attitudine a determinare l’impossibilità a lasciare l’abitazione, trattandosi di elementi essenziali per la valutazione della fondatezza, serietà e gravità dell’impedimento, non riscontrabili laddove si tratti di una diagnosi e di una prognosi che, secondo nozioni di comune esperienza, denotino l’insussistenza di una condizione tale da comportare l’impossibilità di comparire in giudizio, se non a prezzo di un grave e non altrimenti evitabile rischio per la propria salute). Più recentemente, Sez. U, n. 41432 del 21/07/2016, Nifo Sarrapochiello, Rv. 267747, nell’affermare il principio che l’impedimento del difensore a comparire in udienza dovuto a serie, imprevedibili e attuali ragioni di salute, debitamente documentate e tempestivamente comunicate, non comporta l’obbligo di nominare un sostituto processuale o di indicare le ragioni della mancata nomina, ha ribadito la necessità del difensore di <<provare con idonea documentazione la sussistenza dell’impedimento, indicandone la patologia ed i profili ostativi alla personale comparizione>>.

    3.4. Nel caso in esame, il certificato medico non fornisce alcuna informazione sulla natura assoluta della impossibilità di comparire, limitandosi ad attestare lo stato influenzale e la prognosi consigliata (quattro giorni di riposo), senza nemmeno indicare il grado della febbre e a quale grave e non evitabile rischio per la salute sarebbe andato incontro il difensore in caso di presenza all’udienza. La Corte di appello ha pertanto fatto buon governo degli insegnamenti di questa Corte di cassazione, avendo correttamente ed esaustivamente rilevato la mancanza del carattere assoluto dell’impedimento, desumendola direttamente dal certificato medico, senza la necessità di dover disporre una visita fiscale.

    4. Il secondo motivo è manifestamente infondato.

    4.1. E’ noto il principio reiteratamente affermato da questa Corte secondo il quale la lieve entità del fatto di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990,«può essere riconosciuta solo in ipotesi di minima offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione (mezzi, modalità, circostanze dell’azione), con la conseguenza che, ove uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio» (Sez. U, n. 35737 del 24/06/2010, Rico, Rv. 247911; così anche Sez. U, n. 17 del 21/06/2000, Primavera; Sez. 4, 29 settembre 2005, n. 38879, Frank, rv. 232428; Sez. 6, 14 aprile 2008, n. 27052, Rinaldo, rv. 240981, richiamate in motivazione da Sez. U, 35737/2010, cit.; più recentemente, Sez. 3, n. 32695 del 27/03/2015, Genco, Rv. 264491). La trasformazione della circostanza attenuante in reato autonomo non muta i criteri di giudizio (cfr. Sez. 3, n. 23945 del 29/04/2015, Xhihani, Rv. 263651).

    4.2. La qualità dello stupefacente (che ne esprime il grado di purezza) può essere valutata insieme con il dato ponderale perché esprime la reale attitudine della sostanza a ledere il bene della salute pubblica.

    4.3. Sicché, quando, come nel caso di specie, la qualità dello stupefacente è tale da poterne ricavare centinaia di dosi (314) in grado di soddisfare le esigenze di altrettanti consumatori, deve essere esclusa in radice la lieve entità del fatto (sul punto, cfr. Sez. 6, n. 41090 del 18/07/2013, Airano, Rv. 256609, secondo cui l’attenuante di cui al comma quinto dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990 è configurabile nelle ipotesi di cosiddetto piccolo spaccio, che si caratterizza per una complessiva minore portata dell’attività dello spacciatore e dei suoi eventuali complici, con una ridotta circolazione di merce e di denaro nonché di guadagni limitati e che può ricomprendere anche la detenzione di una provvista per la vendita che, comunque, non sia superiore – tenendo conto del valore e della tipologia della sostanza stupefacente – a dosi conteggiate a “decine”; nello stesso senso, più recentemente, Sez. 6, n. 15642 del 27/01/2015, Driouech, Rv. 263068).

    4.4. Nel caso di specie, come detto, le dosi erano ben 314, dato quest’ultimo in grado da solo di escludere la lieve entità del fatto, rendendo manifestamente infondata l’eccezione relativa al malgoverno dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, e superflue e irrilevanti le censure di mancata o insufficiente motivazione sul punto.

    5. Il terzo motivo è manifestamente infondato.

    5.1. In presenza di contestazione della recidiva a norma di uno dei primi quattro commi dell’art. 99 cod. pen., è compito del giudice quello di verificare in concreto se la reiterazione dell’illecito sia sintomo effettivo di riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore, avuto riguardo alla natura dei reati, al tipo di devianza di cui essi sono il segno, alla qualità e al grado di offensività dei comportamenti, alla distanza temporale tra i fatti e al livello di omogeneità esistente tra loro, all’eventuale occasionalità della ricaduta e a ogni altro parametro individualizzante significativo della personalità del reo e del grado di colpevolezza, al di là del mero e indifferenziato riscontro formale dell’esistenza di precedenti penali (Sez. U, n. 35738 del 27/05/2010, Calibè, Rv. 247838; Sez. 3, n. 33299 del 16/11/2016, Del Chicca, Rv. 270419, secondo cui ai fini della rilevazione della recidiva, intesa quale elemento sintomatico di un’accentuata pericolosità sociale del prevenuto, e non come fattore meramente descrittivo dell’esistenza di precedenti penali per delitto a carico dell’imputato, la valutazione del giudice non può fondarsi esclusivamente sulla gravità dei fatti e sull’arco temporale in cui questi risultano consumati, essendo egli tenuto ad esaminare in concreto, in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., il rapporto esistente tra il fatto per cui si procede e le precedenti condanne, verificando se ed in quale misura la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una perdurante inclinazione al delitto che abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione del reato “sub iudice”; Sez. 3, n. 19170 del 17/12/2014, Gordyusheva, Rv. 263464; Sez. F, n. 35526 del 19/08/2013, De Silvio, Rv. 256713; Sez. 6, n. 43438 del 23/11/2010, Manco, Rv. 248960).

    5.2. Facendo buon governo di tali principi, il Tribunale aveva sottolineato la circostanza che il nuovo episodio delittuoso esprime la più accentuata colpevolezza e la maggiore pericolosità del C., «particolarmente impermeabile al rispetto dei precetti normativi, tanto che neppure la condanna subita per una ipotesi di reato analoga a quella per cui oggi è processo ha avuto efficacia deterrente rispetto alla reiterazione delle condotte contestate>>.

    5.3. L’appello sul punto era decisamente generico, avendo il difensore ampiamente illustrato le basi teoriche dell’istituto della recidiva e della sua natura non obbligatoria, senza confrontarsi però con le ragioni della sua concreta applicazione al caso di specie. Troppo generico il richiamo alle condizioni economiche del reo per impegnare oltremodo lo sforzo motivazionale della Corte di appello che non ha ben potuto richiamare la decisione del primo Giudice che aveva già affrontato e risolto la relativa questione senza che l’appello apportasse specifici elementi di novità o di ragionata critica.

    5.4. Infine, nel motivare il diniego delle circostanze attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244; Sez. 2, n. 2285 del 11/10/2004, Alba, Rv. 230691; Sez. 1, n. 12496 del 21/09/1999, Guglielmi, Rv. 214570). Si tratta di un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269).

    5.5. E’ insindacabile, di conseguenza, la decisione della Corte di appello di disattendere la richiesta difensiva in considerazione dei numerosi e gravi precedenti specifici dell’imputato, con motivazione, dunque, che in alcun modo può dirsi apparente o di stile.

    6. Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa dei ricorrenti (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di C 2.000,00 ciascuno.

    PQM

    Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di C 2.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.

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